La dietologia moderna scompone un alimento, ne valuta il contenuto in termini di vitamine, minerali, acqua e altri nutrienti e in base a quello che trova congettura sul fatto che quell’alimento possa andar bene per questo o quel disturbo. Infatti, ormai associamo certi alimenti a certi organi o patologie, per esempio: il latte e i latticini (calcio) per le ossa; il pomodoro (licopene) per la prostata; le arance (vitamina C) per il raffreddore, il pesce e le noci (omega:3) per la prevenzione cardiovascolare e via dicendo. Questo modo analitico e riduttivista di procedere ha indubbiamente una sua ragione d’essere, ma anche dei grandissimi limiti che pongono almeno alcuni semplici quesiti: come fa la qualità di un cibo nella sua totalità ad essere definito da un suo singolo componente? Come mai ad un paziente con problemi alla prostata il pomodoro, pur indicato secondo la scienza moderna, causa bruciori di stomaco? Come mai alimenti che contengono più o meno gli stessi componenti sono così diversi, nei colori, nella forma e nel sapore? Avranno lo stesso effetto solo perché contengono tutti, per esempio, la vitamina C? Ma questi elementi isolati che dovrebbero sortire mirabolanti effetti sull’organismo sono poi integralmente assorbiti dal tratto gastrointestinale o no?
Un altro esempio molto pratico è la ripetuta indicazione di mangiare cibi integrali e ricchi di fibre. Le fibre hanno una serie di effetti benefici, ma questi valgono per tutti? Come mai molte persone che si ostinano a consumare cibi integrali poi soffrono di mal di pancia, gonfiori, meteorismo, tappi fecali, crampi e stanchezza? Questo discorso possiamo estenderlo allo yogurt, al latte, alle arance, altri tra i tanti alimenti considerati salutistici.
Insomma, un alimento non è in assoluto buono perché contiene qualcosa, ma indipendentemente da quello che contiene può essere buono per qualcuno, ma pessimo per un altro.
L’approccio all’alimentazione Tradizionale ha una modalità completamente diversa. Anticamente non c’erano le analisi chimiche, l’uomo non aveva una visione analitica, quella esasperata abitudine di scomporre le cose ai minimi termini e alla fine perdere la visione d’insieme. Gli antichi coglievano la realtà in modo sintetico: immagini, simboli, forme, qualità. L’aspetto nutritivo e terapeutico di un alimento era ricavato dalla valutazione del suo aspetto, del suo colore, dal sapore, se proveniva da un ambiente secco o umido, o da un clima torrido o freddo, ecc. Le qualità di quel determinato cibo doveva poi essere messo in relazione ad un determinato soggetto e non consigliato indiscriminatamente a tutti.
Banalizzando, un cibo energeticamente freddo andava bene per un soggetto “caldo”, un cibo umido per uno ”secco”, ecc., seguendo la legge che il simile aumenta il simile e gli opposti si mitigano. E’ questo un altro aspetto completamente diverso dell’impostazione Tradizionale rispetto alla banalizzante dietologia moderna. La mela è buona perché a me o alla mia condizione attuale fa bene e non perché è buona in assoluto. La dietologia moderna procede spesso per astrazioni e congetture e cade in continue contraddizioni: un giorno esce uno studio che esalta un alimento e dopo un po’ lo stesso alimento viene messo alla sbarra da una nuova ricerca. Per esempio, fino a poco tempo fa l’uovo era demonizzato perché conteneva il colesterolo e si raccomandava (purtroppo c’è chi ancora lo fa tra i dietisti, dietologi e medici compresi) il consumo di non più di due uova alla settimana. Oggi, recenti studi dimostrano che l’uovo è un alimento sicuro per le patologie cardiovascolari e che può essere consumato tranquillamente tutti i giorni. Ma secondo la Tradizione, l’uovo andrà bene in certe condizioni e non in altre, per certe persone e non per altre.
In sostanza, tra gli alimenti commestibili, non esiste il buono o il cattivo, ma solo ciò che è opportuno o no. Un alimento potrebbe essere opportuno oggi per l’età che ho o per la vita che conduco e non essere più opportuno domani. L’approccio Tradizionale spazza via tutte le mode e le inclinazioni irrazionali cui stiamo assistendo in questi ultimi tempi.
Ora vediamo in sintesi come la tradizione ayurvedica classifica gli alimenti. Questa impostazione vale anche per le piante medicinali. L’approccio ayurvedico prende in considerazione tre livelli di qualificazione:
Rasa (sapore) – è il primo percepito quando si mette una sostanza in bocca. Il sapore di un cibo non è una cosa accidentale, casuale, ma una indicazione delle proprietà di quel cibo. Sapori diversi, effetti diversi. I sapori sono sei e in ognuno prevalgono due dei 5 elementi: dolce (acqua+terra), acido (terra+fuoco), salato (acqua+fuoco), piccante (aria+fuoco), amaro (aria+etere), astringente (aria+terra). Il sapore è percepito in bocca e ad ogni sapore corrisponde un effetto sull’organismo, effetto che può influenzare la fisiologia, gli organi e la mente. In senso più precisamente ayurvedico, i sapori agiscono direttamente sui dosha, aumentandoli o riducendoli. Per esempio: Vata, composto da aria ed etere, sarà diminuito dal sapore salato (acqua+fuoco), acido (terra+fuoco) e dolce (terra+acqua), sapori caldi, pesanti o umidi, che non contengono gli elementi di Vata, che sono invece leggeri, freddi e secchi.
Virya (Energia) – è l’azione successiva che un sapore opera sullo stomaco e intestino tenue. A questo livello agisce sul fuoco digestivo (Agni), aumentandolo (azione riscaldante) o riducendolo (azione rinfrescante). Da agni dipendono poi una serie di funzioni fisiologiche e mentali. I sapori dolce, amaro e astringente hanno un virya raffreddante, mentre acido, salato e piccante hanno un vyria riscaldante.
Vipaka (Effetto post-digestivo) – questa è una qualità presa in considerazione solo dall’ ayurveda e rimarca la raffinatezza e precisione di questo metodo. Opera nel colon, ma il suo effetto poi si estende a tutti i tessuti dell’organismo. Agisce anche sulle secrezioni: urine, feci e sudore. Riguarda l’effetto finale della digestione in termini di assorbimento o eliminazione. Il vipaka può essere di tre tipi: dolce, acido e salato. Cioè il sapore (rasa) principale di un cibo, alla fine si riduce in tre sapori finali:
RASA VIPAKA AZIONE EFFETTI SUI DOSHA
Dolce, salato Dolce Anabolica Aumenta Kapha
Acido Acido Metablica Aumenta Pitta
Piccante Piccante Catabolica Aumenta Vata
Prabhava (effetto specifico) – è l’azione dinamica di una sostanza che non può essere spiegata con la logica dei sapori. Questo vale soprattutto per certe erbe medicinali con una forte e specifica azione su di un organo o un sistema, come ad esempio la belladonna o l’aconito.
Francesco Perugini Billi©copyright