La tolleranza dell’uomo moderno alla sofferenza, sia animica che fisica, sta toccando livelli minimi mai visti prima d’ora. Un po’ di mal di pancia o una triviale pena d’amore ed ecco che arrivano in soccorso le scatolette di antidolorifici e le gocce di ansiolitici. Pensare che all’uomo antico veniva insegnato fin da bambino a non cedere alla prima sofferenza, al primo dolore. Ancora i nostri nonni avevano indubbiamente una sensibilità al dolore diversa dalla nostra, una generale capacità di sopportazione alle avversità della vita del tutto sconosciute all’uomo attuale, in generale fragile e impaurito, incapace fondamentalmente di sopravvivere senza le sue mille droghe, siano esse tecnologiche, farmaceutiche, alimentari o a base di sostanze stupefacenti.
Ma la disinvoltura con cui consumiamo e prescriviamo farmaci antidolorifici e antinfiammatori (FANS) ha un alto prezzo, sia in termini economici che di salute.
Il nostro Paese spende circa 518 milioni di euro all’anno in FANS. A questi, vanno poi aggiunti i costi, in continuo aumento, per i gastroprotettori, spesso prescritti insieme ai FANS. Il tutto genera un notevole impatto economico sulla spesa santaria. Sta di fatto che l’Italia è uno dei primi Paesi al mondo per impiego, spesso inappropriato e troppo frequente di FANS.
Anche i rischi per la salute non sono pochi. Alle persone che cedono ai primi dolorini o al primo rialzo febbrile e assumono i FANS come se fossero mentine, vorrei far presente che quelle caramelline che in 5 minuti miracolosamente vi tolgono i sintomi hanno potenzialmente gravi effetti collaterali sul cuore, effetti che si possono manifestare a distanza di anni.
Una recente meta-analisi (Safety of Nonsteroidal Anti-Inflammatory Drugs Project) è giunta alla conclusione che sul possibile rischio cardiovascolare dei FANS non c’è ancora chiarezza e che numerose sono le evidenze che diversi di questi farmaci possano essere piuttosto pericolosi.
Un aumento della mortalità si registra soprattutto nei pazienti che hanno già avuto un infarto e che hanno fatto uso di FANS (rofecoxib, celecoxib, iburpofene, diclofenac). In uno studio inglese si è visto che l’assunzione contemporanea di aspirina e ibuprofene per 30 giorni aumenta la mortalità generale e la morte per accidenti cardiovascolari, rispetto alla sola assunzione di aspirina. Uno studio danese ha mostrato che anche un breve (7-14 gg) trattamento con FANS è associato con un aumento di mortalità o di un nuovo infarto.
Anche nei pazienti con coronaropatia stabile e ipertensione l’impiego dei FANS aumenta le cause globali di morte e il rischio di infarto e di ictus non fatali, come mostrerebbero alcuni studi. Tuttavia, un legame stretto tra FANS e ictus non è chiaro. Dagli studi a disposizione emerge che il maggiore rischio è associato soprattutto all’assunzione di diclofenac, ipubrofene e rofecoxib. In particolare, l’ibuprofene è associato ad un rischio di ictus relativamente alto.
Per quanto riguarda il naprossene, considerato un farmaco abbastanza sicuro, recenti studi avvertono che anche il suo uso portrebbe essere gravato da un aumentato rischio cardiovascolare.
Sul finire degli anni ’90, quando il Vioxx (rofecoxib) uscì sul mercato, l’obiettivo dell’azienda farmaceutica Merck era quello di diffondere il farmaco a livello mondiale e il più velocemente possibile. In breve tempo almeno 80 milioni di persone avevano già assunto il miracoloso antidolorifico. I guadagni raggiunsero presto la cifra di 2 miliardi di dollari all’anno. Tuttavia, nel 2004 la Merck fu costretta a ritirare il farmaco perché un investigatore della FDA stava per pubblicare uno studio dove si mostrava che il Vioxx aumentava sensibilmente il rischio di infarto e ictus e che era stato la causa di oltre 60.000 morti, solo negli USA, durante i 5 anni in cui fu commercializzato.
Il precetto ippocratico, primum non nocere, è ormai quasi sconosciuto alla maggioranza dei medici moderni, oltremodo entusiasti di tutto quello che è chimico, sintetico e innovativo. Invece di partire subito con farmaci potenzialmente pericolosi, bisognerebbe imparare ad usare la quelli che ci offre la natura almeno in prima battuta. La maggioranza delle patologie che più frequentemente affliggono le persone sono banali o di media gravità e il più delle volte rispondono egregiamente alle medicine non convenzionali. Come dico sempre, la medicina moderna, cui riconosco grandi meriti, dovrebbe essere alternativa alla medicina naturale e non il contrario.
per gentile concessione del dott. Francesco Perugini Billi@copyright